lunedì 28 novembre 2011

DAGOSPIA

tratto Dagospia


FATE “LELEMOSINA” NEL TEMPIO DEL LELEMORISMO SENZA CORONA SENZA COCAINAVIAGGIO NEL LOCALE SIMBOLO DI VALLETTOPOLI TRA MORTI DI FAMA E CONTI IN ROSSOE LA LODO NON ENTRA: HA SPIFFERATO AL MAGISTRATO DI PISTE E RIGHE NELLA DISCOPaolo Madron per PanoramaÈ la cronaca che traccia il solco, che impone priorità e punti di vista, evidenziando i dettagli. Per esempio, se uno legge i giornali in questi giorni scopre che più importante dell’Hollywood, il tempio milanese del divertimento, uno dei luoghi deputati che fa da sfondo a questa interminabile Vallettopoli, sono i bagni dell’Hollywood. Dove, a sentire le soubrette che fanno la fila negli uffici delle procure di Potenza e Milano, succederebbe di tutto. Per una sorta di variazione d’uso, nei suddetti locali scorrerebbe più cocaina che urina.


Locali, poi, è una parola grossa. Il visitatore ignaro infatti non si spiega come quegli angusti cessi 3 metri per 3 possano ospitare tutto quel viavai di commerci. Qualcosa però ci dev’essere se, mentre lo scrivente è occupato nelle latrine a scoprire l’arcano, gli si avvicina uno che lo avverte ammiccante: «Deve tornare tra due ore se vuole la roba grossa».Ce ne sono di stranezze intorno a questa discoteca frequentata da ragazzotti di banlieue, rampolli bene e celebrities de noantri. Una su tutte: l’Hollywood non è un affare per i suoi padroni. A guardare i bilanci della Vimar srl, la società che lo gestisce, i primi sei mesi del 2006 si sono chiusi con un giro d’affari di 1,22 milioni di euro e una perdita di 68 mila. E francamente non si capisce come un posto dove lo champagne scorre a fiumi, col Dom Pérignon che va via come acqua minerale a 1.000 euro alla bottiglia e i più barboni che ne scuciono 250 per avere al tavolo vodka, seltz e qualche pezzettino di frutta, non sia (stando al conto economico) una gioiosa macchina da soldi.Ma torniamo ai cessi, vero genius loci di questo santuario del bagordo notturno. Raccontano gli esegeti che frequentano quest’indirizzo di corso Como fin dai tempi della Milano da bere (lo scorso febbraio l’Hollywood ha festeggiato 21 anni) che una volta il massimo della trasgressione era uno specchio trasparente che divideva i bagni degli uomini da quelli delle donne. Sottile e innocente diaframma di seduzione da tempo delle mele, veicolo di concupiscenti acchiappi, teatro del gioco di sguardi preludio al fatidico incontro sulla pista (di ballo, non di coca).Lo specchio c’è ancora, ma è diventato una metafora del locale, della «mise en abîme» che ne regola la disposizione: una grande sala che ne contiene un’altra, il privé, e poi un’altra ancora che cinge il privettino (il privé dei poveri), come nelle matrioske. Non sembra, ma l’anacronistico rispetto della suddivisione classista è totale. Anche negli ingressi: c’è quello per i comuni mortali con le pareti anch’esse rivestite di specchi, quello per i vip acclarati cui si accede dal parcheggio sottostante («È da qui che arriva Flavio Briatore» spiega un tizio che porta ancora negli occhi i segni di una delle sue messianiche apparizioni), un terzo laterale per gli aspiranti vip dal pedigree ancora incerto.
Stranezze, contraddizioni: la cocaina, che è droga di massa omologante, non infrange le rigide ripartizioni del locale, dove invece dilaga la contaminazione dei generi e l’alternanza delle identità. Pierre Casiraghi da Monte-Carlo, uno dei frequentatori più assidui, di giorno è studente modello testimonial del prestigio bocconiano nel mondo, la notte diventa emblema del primato assoluto dell’Hollywood tra i night-club della capitale morale. «Arriva con un codazzo di gente, ordina champagne per tutti e paga con una carta di credito nera» racconta una barista. Nera come il colore delle pareti, dei sedili e dei tavoli che danno il giusto tono dark all’ambiente, un po’ fetish tendenza pivettian-sadomaso.Gli specchi riflettono forme cangianti, più o meno come gli assetti proprietari del locale che comunque, fra tanti padroni, ne ha uno che conta di più. Si chiama Alberto Baldaccini e controlla 3.154 azioni, valore nominale 1 euro, su un capitale di 10.200. Alberto però, un giovane che preferisce frequentare The Club, altro locale che gravita nella sua orbita, è titolare della nuda proprietà perché l’usufrutto lo hanno il padre Giorgio e la madre Marta. Nella compagine leggenda vuole che si siano avvicendati nomi famosi: dal calciatore Paolo Maldini fino al mitico Lele Mora, per via del fatto che da anni l’Hollywood gli appalta la serata della domenica, quella più calda e peccaminosa. L’ultima metamorfosi societaria segnala lo scorso febbraio l’uscita di Rocco Anaclerio, in arte dj Ringo, che ha venduto le sue azioni proprio a Baldaccini Giorgio.Ma l’Hollywood non si esaurisce qui, tra i suoi bagni e i suoi specchi inquietanti. In omaggio al marketing delle «brand extension» (prendi un logo e lo replichi su prodotti diversi), il nome è servito per lanciare una linea di abbigliamento i cui testimonial sono stati Aida Yespica, Francesca Lodo, Costantino e tale Belén Rodríguez. La Vimar srl ha un amministratore unico, Davide Guglielmini, cui farebbe capo anche la delicata gestione dei tavoli al privé. Che a noi neofiti non è apparsa questione così delicata, visto che ci siamo tranquillamente andati prenotando sotto falso nome. «Ma» mi ha spiegato un frequentatore abituale «era di giovedì», che dev’essere un po’ come andare al mare il giorno dei morti.La serata clou, neanche a dirlo, è la domenica, e ha tutta una sua coreografia. Al centro del privé campeggia un trono rosso dove si siede Lele Mora circondato da belle fanciulle, muscolosi tronisti e sulfurei rintronati. L’immagine è forte, eguaglia quasi in valenza simbolica quella che immortalava due aitanti giovanotti mentre massaggiano gli alluci del manager spaparanzato nella sua villa sarda.
È qui che si capisce come l’Hollywood sia stato una tappa fondamentale nella strategia imprenditoriale dell’ex parrucchiere veronese, insuperato maestro nel creare valore dal niente facendone lievitare il prezzo a ogni passaggio, televisivo, discotecaro, giornalistico che sia. Un po’come facevano i furbetti del quartierino scambiandosi tra loro i palazzi fino a gonfiare a dismisura la bolla speculativa. E quando la bolla scoppia? Lacrime, pianti, ricatti e sostituti procuratori che a ritroso vanno alle origini di questa perfetta macchina del consenso che la bramosia di denaro ha clamorosamente inceppato.l lelemorismo sia la malattia degenerante del divismo (e la più anonima serialità il suo virus letale) lo si capisce bene scorrendo i nomi che tappezzano l’ingresso dell’Hollywood, in una specie di «hall of fame» che comincia con Robert De Niro e si conclude con Giada de Blanc, e che racconta meglio di un saggio la morte del simbolico e dell’erotismo. Un elenco sterminato, che il sito internet del locale cataloga ordinatamente per settori di appartenenza, giusto per far capire che di lì ci sono passati (quasi) tutti. O, molto più perentoriamente, per dire che «l’Hollywood è più forte delle inchieste che gli hanno puntato i riflettori addosso» come spiega al telefono con malcelato orgoglio Roberto Galli, socio e direttore artistico, un factotum cui tutti rimandano, prima di dileguarsi nel nulla perché, si sa, i giornalisti sono dei ficcanaso.Ma basta a capire che non si tratta di un baraccone, di un fenomeno estemporaneo da prendere come l’ennesima effimera propaggine della società spettacolo. Qui dietro ci dev’essere una macchina organizzativa che funziona e che arriva là dove altri non si sognano nemmeno, se è vero che Robbie Williams, icona pop incline alla sindrome depressiva, ha iniziato la sua esibizione al Forum di Assago con un sorprendente quanto marchettoso: «Dove ci vediamo dopo lo spettacolo, all’Hollywood?».


Dicono che questo putiferio di Vallettopoli adesso abbia indotto i padroni a una stretta. Lele Mora non si è più fatto vedere, Fabrizio Corona sta in galera e i protagonisti della notte milanese possono uscire senza il patema di essere paparazzati in pose sconvenienti. Qualche sera fa l’avvenente signorina Francesca Lodo, che aveva spifferato al magistrato di polvere, piste e righe che impestavano il locale, non è stata fatta entrare. Il «vip watching», ovvio, ne risente. Ma è meglio un vip di meno che l’irruzione dell’antidroga nei dorati bagni. La Milano da bere è passata, il lelemorismo finirà, ma l’Hollywood resta. È la parola d’ordine. Dice Galli che si stanno già preparando per l’Expo del 2015. Dunque basso profilo, stop agli eccessi. Anche a costo di deludere i frequentatori che vanno lì per essere contigui a calciatori e teledivi. Noi, che siamo fortunati, abbiamo visto, per la verità ce l’hanno fatto vedere, Patrick del Grande fratello, e tanto è bastato per farci riemergere nella fresca notte milanese senza la fastidiosa idea di aver buttato i soldi. (ha collaborato Lucia Scajola)Dagospia 06 Aprile 2007

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